
Esattamente
il 12 marzo di 150 anni fa, 1861, dopo la resa del Re a Gaeta, capitolava anche
Messina e veniva all’alba del 13 ammainata la penultima bandiera del regno
borbonico sulla cittadella. Essa aveva resistito con enorme eroismo, data la
netta inferiorità di mezzi, un mese oltre Gaeta di fronte al feroce assedio dei
guerrieri sabaudi, con in testa il criminale di guerra Cialdini. Quella bandiera,
come costume tra i fierissimi difensori del regno delle Due Sicilie, non fu mai
ritrovata dai vincitori per esibirla come trofeo. I soldati borbonici si
divisero le ultime bandiere gigliate tra loro, celandone i pezzetti perfettamente
addosso. Portarono così la loro Patria nei posti più reconditi e nella maniera
più appassionata nelle terribili traversie che li attendevano per mano dei
barbari calati dal nord. Molti finirono a Fenestrelle per sparire nella calce
viva, molti altri divennero briganti per sparare sino all’ultima pallottola
contro l’insaziabile nemico, i pochi sopravvissuti spesso presero la mesta via
dell’esilio che gli sfruttatori settentrionali chiamarono emigrazione.
Tutti
ci lasciarono un messaggio per troppi anni dimenticato: la Patria esiste solo
se i suoi figli la invocano e la proteggono senza arrendersi mai. Noi stiamo
rintracciando nel nostro inconscio collettivo quello scampolo di bandiera che l’orgoglio
dei nostri antenati negò agli invasori. Esso è ancora vivido e palpitante ma
solo facendogli ritrovare tutti i suoi simili, disseminati nel DNA dei
meridionali di oggi, sarà possibile riformare quella medesima bandiera, la sola
in grado di garrire sotto il vento della libertà.
V.G.
seguono programma commemorativo e narrazione dei fatti storici
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